Non è un viaggio, d'accordo, ma ha richiesto dei preparativi tali da essere paragonabile allo sbarco sulla luna.
Zzitalia era tranquillo, nel suo completo nuovo e con i capelli tagliati di fresco.
Io ero nel panico più assoluto: il vestito era largo, ma il giacchino era stretto, una manica era palesemente storta, le spalline erano lunghe, le mie gambe erano corte e non potevo mettermi le tette. Mi ero, infatti, procurata delle tette posticce sulla cui misura il vestito era stato realizzato e a venti minuti dall'inizio della cerimonia scopro di non poterle indossare perchè - scigura - la spallina del reggiseno non rimane coperta da quella del vestito.
Imbastisco un sistema di tiranti e nastro da pacchi e usciamo, mentre io mi ripeto come un mantra che "tanto in chiesa non mi levo il giacchino e nessuno se ne accorgerà".
Nel finestrino del taxi vedo riflessa la mia acconciatura architettonica e il fulgore della nuova tinta, che fa a pugni col vestito, come da copione. Sono la versione deformata di Amy Winehouse uscita da una vasca di passata di pomodoro.
Appena arriviamo, stranamente, ci vedono tutti.
Gli invitati sono tutti eleganti e bellissimi, ma le mamme degli sposi, come vuole tradizione, mangiavano letteralmente in testa a tutte noi altre pischelle che quell'eleganza lì ce la sognamo, anche se abbiamo gonne più corte o tacchi più alti.
Lo sposo è strabiliante, è talmente bello ed elegante che non merita nemmeno i complimenti: è ovvio che è tutta opera di sua moglie e di sua madre, lui - al massimo - si sarà fatto la barba.
Gli altri quattro uomini rilevanti, ovvero i padri degli sposi e i due testimoni, sembrano usciti dal ballo di Cenerentola (e conoscendo la sposa dev'essere stata quella l'ispirazione) e sfoggiano un'armoniosa combinazione di colori indossando cravatte e accessori rispettivamente color notte, fior di pesco, sangue di bue e perfezione: il fratello dello sposo sbaraglia qualsiasi concorrenza con la sua cravatta arancione.
La sposa resiste due minuti d'orologio dopo l'ora convenuta, poi la sua puntualità patologica la fa giungere, a bordo di un maggiolone cabriolet che fa tanto "Salviamoci la pelle", sotto gli occhi ammirati degli invitati.
Zzitalia era tranquillo, nel suo completo nuovo e con i capelli tagliati di fresco.
Io ero nel panico più assoluto: il vestito era largo, ma il giacchino era stretto, una manica era palesemente storta, le spalline erano lunghe, le mie gambe erano corte e non potevo mettermi le tette. Mi ero, infatti, procurata delle tette posticce sulla cui misura il vestito era stato realizzato e a venti minuti dall'inizio della cerimonia scopro di non poterle indossare perchè - scigura - la spallina del reggiseno non rimane coperta da quella del vestito.
Imbastisco un sistema di tiranti e nastro da pacchi e usciamo, mentre io mi ripeto come un mantra che "tanto in chiesa non mi levo il giacchino e nessuno se ne accorgerà".
Nel finestrino del taxi vedo riflessa la mia acconciatura architettonica e il fulgore della nuova tinta, che fa a pugni col vestito, come da copione. Sono la versione deformata di Amy Winehouse uscita da una vasca di passata di pomodoro.
Appena arriviamo, stranamente, ci vedono tutti.
Gli invitati sono tutti eleganti e bellissimi, ma le mamme degli sposi, come vuole tradizione, mangiavano letteralmente in testa a tutte noi altre pischelle che quell'eleganza lì ce la sognamo, anche se abbiamo gonne più corte o tacchi più alti.
Lo sposo è strabiliante, è talmente bello ed elegante che non merita nemmeno i complimenti: è ovvio che è tutta opera di sua moglie e di sua madre, lui - al massimo - si sarà fatto la barba.
Gli altri quattro uomini rilevanti, ovvero i padri degli sposi e i due testimoni, sembrano usciti dal ballo di Cenerentola (e conoscendo la sposa dev'essere stata quella l'ispirazione) e sfoggiano un'armoniosa combinazione di colori indossando cravatte e accessori rispettivamente color notte, fior di pesco, sangue di bue e perfezione: il fratello dello sposo sbaraglia qualsiasi concorrenza con la sua cravatta arancione.
La sposa resiste due minuti d'orologio dopo l'ora convenuta, poi la sua puntualità patologica la fa giungere, a bordo di un maggiolone cabriolet che fa tanto "Salviamoci la pelle", sotto gli occhi ammirati degli invitati.
E' talmente bella che non si può nemmeno invidiarla, tanto è superiore a noi comuni mortali.
Appartiene ad un'altra specie, riesce ad indossare l'abito di Barbie Principessa delle Meringhe e nonostante questo ad emanare un'eleganza hepburniana, romantica, ma non leziosa, solenne, ma non superba.
Appartiene ad un'altra specie, riesce ad indossare l'abito di Barbie Principessa delle Meringhe e nonostante questo ad emanare un'eleganza hepburniana, romantica, ma non leziosa, solenne, ma non superba.
Peccato per gli swarovski del corpino che, pur realizzando un decoro sobrio e azzeccatissimo nell'economia dell'abito, non riuscivano proprio a brillare più della sposa stessa.
Ci decidiamo ad entrare e non sappiamo dove metterci, poi individuo Ilaria e Francesca, le ragazze che mi devono ammaestrare sul da farsi, e guadagnamo la panca dietro di loro, appena in tempo per voltarci e ammirare la sposa che percorre la navata al braccio di un papà più emozionato di lei, che tira come un setter.
Ci decidiamo ad entrare e non sappiamo dove metterci, poi individuo Ilaria e Francesca, le ragazze che mi devono ammaestrare sul da farsi, e guadagnamo la panca dietro di loro, appena in tempo per voltarci e ammirare la sposa che percorre la navata al braccio di un papà più emozionato di lei, che tira come un setter.
Sfoglio frenetica il libretto della messa e inizio a disturbare chiedendo informazioni ovvie alle poverine davanti a me, le quali, contagiate dall'amore che irradia la sposa, mi spiegano tutto come se fossi musulmana. Io, al loro posto, mi sarei data un pugno sui denti.
Vado a leggere il salmo. E' già un miracolo che non mi sfracelli sui gradini dell'altare perchè le scarpe mi sono diventate grandi e mi scappano, facendo il caratteristico rumore di zoccoli sciabattati, che tanto si addice ad un luogo sacro, ma il meglio di me lo do dal pulpito: non vedo niente.
Guardo la pagina e non c'è scritto niente, solo vermetti grigi che si rincorrono, tutto è offuscato. Mi tolgo gli occhiali per leggere meglio, ma la situazione non cambia; mi ricordo, allora, che non sono presbite, è che ho la pressione a duecento per l'emozione e ho appena fatto la figura dell'ottuagenaria, che da vicino non ci vede più.
Mi impapino, perdo il segno quattro volte, sputazzo nel microfono, sudo come un cammello e me ne vado accompagnata dal clocchete-clocchete dei miei piedi e dal rumore del nastro da pacchi che sta inesorabilmente cedendo e che cerco di bloccare stringendo le ascelle, assumendo la postura di un gallinaceo.
Sono protagonista di un altro siparietto comico al momento delle preghiere dei fedeli, quando l'officiante legge - a sorpresa - la prima di esse gettando nel panico più assoluto noi tre grazie ammucchiate dietro il leggio.
Si scatena il parapiglia perchè non possiamo semplicemente 'scalare' in quanto la terza preghiera è della sposa (per forza, parla dei loro nonni defunti e dice 'io e Paolo', sarebbe quantomeno di cattivo gusto letta da un'altra), una deve rinunciare, nessuna vuole fare quella che si tira indietro, del resto nessuna vuole fare la prepotente sulle altre. E' una questione di prontezza e coordinazione.
Io, sempre producendomi nell'imitazione dell'ippogrifo con ascelle strette e zoccoli scalpitanti, mi distraggo a sghignazzare coi testimoni dello sposo, perdo l'attimo e in un battibaleno ecco che quella che è andata sul pulpito per niente divento io.
Non importa, anzi, meglio così. Se gli sposi non avessero voluto qualche contrattempo esilarante a spezzare la tensione della cerimonia, avrebbero scelto una persona seria; se hanno scelto me vuol dire che erano ansiosi di godere delle infinite movimentazioni che una gigantesca Tequila Sunrise col passo di Furia-Cavallo-del-West poteva dare ad una altrimenti piatta cerimonia.
In un modo o nell'altro, e nonostante me, gli sposi, cui rifiliamo il solito nome di fantasia da coppiette, Paolo&Francesca, riescono a convolare a giuste nozze e escono dalla chiesa salutati dalla tradizionale pioggia di riso colorato.
Vado a leggere il salmo. E' già un miracolo che non mi sfracelli sui gradini dell'altare perchè le scarpe mi sono diventate grandi e mi scappano, facendo il caratteristico rumore di zoccoli sciabattati, che tanto si addice ad un luogo sacro, ma il meglio di me lo do dal pulpito: non vedo niente.
Guardo la pagina e non c'è scritto niente, solo vermetti grigi che si rincorrono, tutto è offuscato. Mi tolgo gli occhiali per leggere meglio, ma la situazione non cambia; mi ricordo, allora, che non sono presbite, è che ho la pressione a duecento per l'emozione e ho appena fatto la figura dell'ottuagenaria, che da vicino non ci vede più.
Mi impapino, perdo il segno quattro volte, sputazzo nel microfono, sudo come un cammello e me ne vado accompagnata dal clocchete-clocchete dei miei piedi e dal rumore del nastro da pacchi che sta inesorabilmente cedendo e che cerco di bloccare stringendo le ascelle, assumendo la postura di un gallinaceo.
Sono protagonista di un altro siparietto comico al momento delle preghiere dei fedeli, quando l'officiante legge - a sorpresa - la prima di esse gettando nel panico più assoluto noi tre grazie ammucchiate dietro il leggio.
Si scatena il parapiglia perchè non possiamo semplicemente 'scalare' in quanto la terza preghiera è della sposa (per forza, parla dei loro nonni defunti e dice 'io e Paolo', sarebbe quantomeno di cattivo gusto letta da un'altra), una deve rinunciare, nessuna vuole fare quella che si tira indietro, del resto nessuna vuole fare la prepotente sulle altre. E' una questione di prontezza e coordinazione.
Io, sempre producendomi nell'imitazione dell'ippogrifo con ascelle strette e zoccoli scalpitanti, mi distraggo a sghignazzare coi testimoni dello sposo, perdo l'attimo e in un battibaleno ecco che quella che è andata sul pulpito per niente divento io.
Non importa, anzi, meglio così. Se gli sposi non avessero voluto qualche contrattempo esilarante a spezzare la tensione della cerimonia, avrebbero scelto una persona seria; se hanno scelto me vuol dire che erano ansiosi di godere delle infinite movimentazioni che una gigantesca Tequila Sunrise col passo di Furia-Cavallo-del-West poteva dare ad una altrimenti piatta cerimonia.
In un modo o nell'altro, e nonostante me, gli sposi, cui rifiliamo il solito nome di fantasia da coppiette, Paolo&Francesca, riescono a convolare a giuste nozze e escono dalla chiesa salutati dalla tradizionale pioggia di riso colorato.
Mentre gli sposi vanno in città a realizzare le foto per il loro album, gli invitati si dirigono verso il ristorante, dove viene servito nel frattempo un aperitivo di benvenuto.
Arrivano gli sposi e siamo pronti per sederci a tavola, non prima di alcune foto di rito.
Rimarchevole l'episodio in cui la sposa fa una specie di imitazione di Fonzie e al comando "Cugine!" viene attorniata, in un delta T prossimo allo zero, da un campionario di gnocca mai visto tutto assieme.
Ho visto poi altri invitati gridare "cugine" e allargare le braccia come il famoso meccanico, ma senza lo stesso effetto.
L'aspetto gastronomico del matrimonio merita una digressione a parte. Qui basti sapere che mi sono autoproclamata La Ragazza Fogna e che il mio dirimpettaio, cui anche rifiliamo un nome di fantasia - Josephine - tanto ne ho che mi avanzano, ha talmente avuto modo di condividere l'esattezza della mia definizione, che ha iniziato ad utilizzarla anche lui. Ma è un fan di Springsteen che suona il sax, può dire quello che vuole.
La serata prosegue tra canzoni, trenini, resistenza passiva (della sottoscritta) ai trenini, macchie che si materializzano come per magia sul mio vestito, crisi di commozione alla vista della sposa che balla col suo papà, nutrizione smodata, frizzi e lazzi.
Non paghi, andiamo a rompere le scatole agli sposini nella loro suite ai Duchi (Zzi si astiene da questa pratica, io ci sguazzo) e, la mattina seguente, a colazione.
Praticamente Francesca ha visto più me che suo marito, ma adesso che è in viaggio di nozze negli Stati Uniti, sono quasi sicura che farebbe cambio, almeno a ore pasti.